Lanificio Digitale negli spazi di Santa Caterina a Formiello
Lanificio Digitale ha scelto per il suo Open Innovation Hub gli spazi che insistono sul chiostro di Santa Caterina a Formiello, a Napoli, successivamente lanificio borbonico.
Nell’area di Porta Capuana, che ha rappresentato ed è un punto nevralgico per il commercio e gli spostamenti, nascerà uno spazio di coworking di circa 900 mq, che supporterà le attività di coaching e team building.
L’Open Innovation Hub vuole proporre incontri e confronti tra professionisti, talenti digitali e needs del mercato, incrociando opportunità digitali e relazioni offline.
“Il nome e il logo del nostro progetto custodiscono la storia del luogo che abbiamo deciso di abitare – spiegano i due co-founder Giordano Iovine e Davide Bussetti -, quello appunto dell’ex Lanificio Sava”.
Probabilmente la zona è conosciuta più per il chiostro di Santa Caterina a Formiello, che per il Lanificio Sava, si trova a due passi dalla Stazione Garibaldi e dal centro storico di Napoli, sito UNESCO, e ha una storia tutta da raccontare.
Nel corso degli ultimi anni, nuove realtà imprenditoriali e culturali si sono insediate in questi spazi e stanno contribuendo a riqualificare l’ex lanificio borbonico, in un rapporto osmotico con la città.
La chiesa e il convento di Santa Caterina a Formiello: le origini
Il libro “Il Lanificio Sava. Un esempio di architettura industriale nel Regno delle due Sicilie“, scritto da Remo F.M. Malice (Kaleidon editrice), cita diverse fonti per ripercorrere l’incredibile storia di questi luoghi, invitando a un’adeguata valorizzazione.
Le prime notizie certe risalgono circa alla seconda metà del 400, quando ancora non era nata la fabbrica tessile, ma la struttura era adibita a convento.
La chiesa era detta a “formiello” perché richiamava i condotti, i canali, connessi all’antico acquedotto della Bolla, che verso la fine del XIX secolo fu sostituito con quello Sirino che è attualmente in uso.
In origine la chiesa e il convento erano un cenobio di frati eremitani dell’ordine dei Celestini e sorgevano fuori dalla cinta muraria angioina, a cui furono annessi nel 1484 grazie ad Alfonso II d’Aragona.
Verso la fine del ‘400 un altro importante evento coinvolse Santa Caterina con l’edificazione di Villa della Duchesca, nei pressi di Castel Capuano, per volontà del Duca di Calabria.
La villa doveva essere dotata di un grande giardino, fontane, bagni e un ippodromo. Per questo bisognava includere gli ampi spazi limitrofi occupati dal convento delle monache agostiniane di Santa Maria della Maddalena, che opposero non poche resistenze.
Con il pagamento di 2.000 ducati i Celestini si unirono ai confratelli nel convento napoletano di San Pietro a Maiella, cedendo il convento alle Agostiniane. La permanenza durò appena otto anni. Le monache fecero ritorno alla dimora iniziale nel 1498 grazie a Re Federico, mentre la chiesa e il convento furono offerti dal Sovrano ai Domenicani Lombardi, che vi rimasero ininterrottamente fino ai primi dell’800. Furono loro a iniziare i lavori di ammodernamento della chiesa e del convento, cambiandone completamente l’architettura.
Il successo del Lanificio Sava
Nei primi dell’800 con il Regno di Napoli il Convento di Santa Caterina rientrò tra i monasteri soppressi e venne concesso all’imprenditore tessile amalfitano Raffaele Sava che decise di riconvertire le strutture conventuali preesistenti in un’industria tessile, il Lanificio Sava.
Nel giro di breve tempo il Lanificio, grazie anche ai numerosi incentivi concessi dal governo borbonico, divenne la più importante industria tessile nel Regno delle Due Sicilie.
L’industria si distingueva dalle altre per qualità e quantità dei prodotti, ma anche per il numero di dipendenti, infatti dava lavoro a circa 700 persone, persino i detenuti delle carceri erano coinvolti nel confezionamento delle uniformi per l’esercito napoletano.
La crisi e l’abbandono del lanificio borbonico
Dopo l’unità d’Italia iniziò il periodo di decadenza del Lanificio.
Lo Stato infatti non riconobbe più i numerosi sostegni che il regime borbonico assicurava e che avevano permesso all’industria di prosperare durante il loro Regno, i detenuti politici furono liberati, facendo venire meno la manodopera a basso costo di cui beneficiava l’industria.
Anche il Lanificio Sava, come le altre attività industriali di quel periodo, quindi entrò in difficoltà economica, per cessare definitivamente la sua attività nel 1870.
Dopo la chiusura dell’industria, l’ex convento e lanificio, fu abbandonato e rischiò persino di essere raso al suolo dalla Società di Risanamento.
Durante il ventennio fascista furono abbattuti alcuni magazzini, mentre nel corso della Seconda Guerra Mondiale la popolazione sfruttò i vani sotterranei come rifugi antiaerei, infatti in questo periodo andarono distrutte alcune parti da un attacco aereo delle truppe Angloamericane.
Successivamente oltre come abitazioni private, molti ambienti sono stati destinati a fabbrichette artigianali a conduzione familiare.
Una nuova vita per gli spazi di Santa Caterina a Formiello
Che cosa resta? Il portale d’ingresso riporta ancora la decorazione a stucco tipicamente neoclassica in cui è appena leggibile la sagoma e l’iscrizione a rilievo “LANIFICIO”.
Varcata la soglia, non passano inosservate le due ciminiere e le colonne del chiostro inglobate nella stratificazione architettonica che è avvenuta nel corso di questi anni.
Oggi nel chiostro di Santa Caterina a Formiello, ex Lanificio Sava, grazie a diverse iniziative private è stato avviato un progetto di riqualificazione.
All’interno del complesso sono presenti varie realtà che promuovono iniziative culturali, imprenditoriali, didattiche e sociali come puntozerovaleriaapicella, Luigi Solito Galleria Contemporanea, MudStudio, Officina Keller, Associazione Culturale Jimmie Durham, Cooperativa Sociale Dedalus, Lanificio25 e Made in Cloister, per citarne qualcuna.
“Siamo felici di abitare questi spazi e di restituirli alla città come punto d’incontro tra idee, tecnologie, professionalità e need di mercato. La nostra realtà imprenditoriale – confermano entusiasti i co-founder Giordano Iovine e Davide Bussetti – e soprattutto l’approccio del nostro Open Innovation Hub, sono fortemente radicati alle professionalità, al territorio, alla storia e alla sua valorizzazione.
Anche l’icona del Lanificio Digitale si ispira al Telaio Jacquard e vuole ricordare le schede perforate antenate dei computer”.